VOLTARSI INDIETRO

Riflessioni dal romanzo “Non dico addio” di Han Kang, Adelphi 2024.
In questo bellissimo romanzo si trova citata una leggenda coreana che mi ha ricordato altre storie e indotti alcune riflessioni.
La leggenda della donna di roccia.
Nel romanzo della Kang si parla di un’antica leggenda della Corea del Sud su una donna che si arrampica su un monte per sfuggire a un’inondazione che sta sommergendo il suo villaggio. Ha avuto la predizione e l’occasione di salvarsi, a patto di non voltarsi indietro. Purtroppo, ancora oggi si può vedere su quel monte la sagoma della donna pietrificata. Dunque, ha ceduto alla tentazione di voltarsi. Per primi si trasformano in roccia i suoi piedi. Lei può ancora camminare, anche se a fatica, e quindi voltarsi di nuovo e di nuovo fino a diventare una donna pietrificata. Basterebbe oltrepassare il valico, oltre il quale c’è la salvezza, ma lei continua a voltarsi, e dopo i piedi si pietrificano le gambe fino alle ginocchia e a quel punto è costretta a fermarsi, a osservare tutto scomparire sott’acqua e il suo corpo diventare roccia. Perché si è voltata, e ha continuato a farlo, pur sapendo quale sarebbe stato il suo destino? In-seon, l’amica della protagonista del romanzo di Kang, ipotizza che la donna della leggenda sia diventata roccia, ma non sia morta. Che quella roccia sia solo una specie di guscio, di cui lei si sia liberata come di una vecchia pelle, per prendere il volo. Che lei abbia poi scavalcato il monte per iniziare un’altra vita o per tuffarsi nell’acqua, allo scopo di salvare qualcuno. Salvare qualcuno, non poteva essere altro che questo il motivo per cui continuava a voltarsi indietro.
Il mito di Orfeo ed Euridice.
La tragica storia di Orfeo ed Euridice appartiene al mito classico, ce l’hanno tramandato Virgilio e Ovidio. Orfeo era un eroe che non combatteva con spada e scudo ma con l’arte del canto e col suono della lira, incantando gli uomini e la natura, tanto che persino le pietre lo adoravano. Era devoto ad Apollo e Dioniso, per l’arte musicale e per la simbiosi con la natura, ma credeva d’essere lui stesso pari a un dio. Tornato dalla spedizione degli Argonauti, Orfeo sposò la bella ninfa Euridice. Un giorno, inseguita dal pastore Aristeo, uno dei figli di Apollo, che voleva farla sua, la fanciulla fu morsa da un serpente e morì. Poiché Orfeo non si rassegnava alla perdita dell’amata, consapevole che nessuno potesse resistere alla sua arte, incantò le creature dell’Oltretomba e infine la dea Persefone e lo stesso Ade, che liberò Euridice concedendole una seconda vita, purché Orfeo non si voltasse a guardarla finché non fossero giunti alla luce del sole. Tuttavia, appena fu toccato dai raggi del sole, Orfeo fu vinto dall’impazienza e si voltò. Ma l’ombra di Euridice non era ancora emersa alla luce e divenne aria nella mano di lui che cercava di afferrarla, ritornando per sempre alle tenebre. Secondo il mito si compì così la vendetta di Apollo contro colui che aveva osato sfidarlo nell’arte della musica e farsi simile a un dio. A ben vedere, anche qui si tratta di voltarsi per salvare qualcuno, ma anche della possessività dell’amore e dell’incapacità di dire addio.
La moglie di Lot.
La storia della moglie di Lot è raccontata nella Bibbia, nel libro della Genesi (capitolo 19). A tutta la famiglia di Lot era stato concesso di salvarsi dalla distruzione di Sodoma, lasciando la città per rifugiarsi sul monte, a patto però di non voltarsi indietro. Solo questa anziana donna non ce la fece, si voltò a guardare la città che stava lasciando e fu trasformata in una statua di sale. Perché proprio il sale? Il sale era, per gli israeliti, un elemento di conservazione dei cibi ma anche un elemento sacro utilizzato nelle offerte religiose, inoltre venivano sfregati con il sale in segno di benedizione i bambini appena nati. Veniva offerto agli ospiti, uso non praticato dai sodomiti, che non coltivavano l’ospitalità. Metaforicamente, una terra ricoperta di sale era una terra infruttuosa, desolata, quale stava per diventare appunto Sodoma. Il voltarsi indietro di questa donna sodomita è, quindi, un gesto di rimpianto verso la sua città e, in generale, per la sua vecchia vita. L’incapacità di cambiare diventando ospitale e, ancora, l’incapacità di dire addio.
«Lascia i morti seppellire i loro morti».
Anche nel Nuovo Testamento si trovano persone che non hanno il coraggio di guardare subito avanti. Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 8 versetti dal 18 al 22, incontriamo un giovane che vorrebbe andare al seguito di Gesù, ma chiede il permesso di andare prima a seppellire suo padre. La risposta del Cristo è dura: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti». In altre occasioni, ribadirà che chi si volta indietro per occuparsi dei suoi affari passati non è degno di Lui. Questo atteggiamento, che può apparire quasi disumano – in fondo, il giovane chiedeva di compiere un gesto di carità e d’amore -, sta a significare che non bisogna essere indecisi tra la vecchia vita e la nuova. I morti di cui si parla sono coloro che non accolgono il Vangelo e il voltarsi indietro rappresenta il rifiuto di cambiare. L’incapacità di lasciare andare il passato. Questo può trasformarsi in una trappola, se non lo si custodisce come si dovrebbe, chiuso in un ricordo sigillato e proficuo. Può trasformarsi in una prigione di nostalgia e rimpianto.
Come si possono concludere queste riflessioni? Con la speranza che, come dice In-seon, la roccia e il sale siano solo un guscio? Soprattutto con l’esortazione: andiamo sempre avanti, non rifiutiamo la novità della vita, abbracciamo le possibilità, non facciamoci paralizzare dal passato e dall’incapacità di dire addio.
Foto di The New York Public Library su Unsplash